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Racconto della morte di San Francesco

Nell’anno del Signore 1507, nella Domenica delle Palme, Francesco cominciò a soffrire per l’inizio di una malattia. Nei giorni successivi questa andò via via aggravandosi. Il beato Padre Francesco, tuttavia, non lasciava che gli si desse sollievo alcuno, né da parte dei religiosi, né da parte di altri; né voleva che gli si dimostrasse deferenza alcuna.
Il Giovedì santo il beato Padre, che soffriva per una febbre tenace e maligna radunò presso di lui, come era suo solito, i religiosi suoi confratelli, che erano presso di lui, giunti dalle varie provincie e nazioni. Mentre parlava con loro dal braciere di ferro si appiccò il fuoco agli assi che erano di sotto. Egli, preso prontamente il braciere, lo tenne nelle mani, mentre uno dei presenti gli porgeva dei mattoni; si rivolse, quindi, con queste parole a quanti lo attorniavano: «In verità vi dico: a chi ama Dio non è più difficile mantenere tutto ciò che ha promesso, più di quanto sia difficile a me tenere in mano questo fuoco». Il beato Padre si riferiva al voto del digiuno quaresimale.
A queste parole tutti si prostrarono ai piedi del beato Padre e promisero che avrebbero osservato il suddetto voto fino alla morte. Subito tutti si inchinarono, l’uno verso l’altro per abbracciarsi, chiedendosi reciprocamente perdono con il gesto della Riconciliazione. Egli abbracciò tutti con grande carità e, quasi stesse sul punto di partirsene, li benedisse paternamente.
Aiutato, poi, da alcuni religiosi, il beato Padre scese nella chiesa del convento e, dopo una devota e umile preparazione, precedendolo devotamente i padri in lacrime, ricevette in ginocchio il sacramento dell’Eucarestia, portando al collo il cingolo, come è uso nell’Ordine. Prima, però, di accostarsi al divino mistero, prostrato per qualche tempo all’ultimo gradino dell’altare, tutto grondante di lacrime, battendosi forte il petto, ripeté per tre volte con voce chiara, anche se incerta per la malattia: «Signore Gesù Cristo, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola ed io sarò salvo». Aveva, inoltre, in precedenza recitato la preghiera di s. Gregorio ed altre simili. Tutti furono spinti ad un sentimento insolito di devozione. Dopo rimase in coro per un certo tempo assistendo alla sacra funzione.
In seguito, vedendo i religiosi che il beato Padre era indebolito, lo riportarono nella sua cella. A sera presenziò alla cerimonia della lavanda dei piedi. Il correttore venne anzitutto da lui, e anche un frate di nome Berte gli chiese se voleva che gli si facesse la lavanda dei piedi, come suole farsi nell’Ordine. Il beato Padre rispose: «Per carità, lasciate di farlo per domani; allora mi laverete non solo i piedi, ma tutto il corpo». Dopo che il correttore terminò di lavare i piedi a tutti, li esortò di nuovo alla carità reciproca.
Arrivato, poi, il Venerdì santo, il beato Padre Francesco fece chiamare nella sua cella i religiosi e dolcemente li ammonì di essere osservanti della religione e dell’Ordine e li esortò ad essere caritatevoli tra di loro, ad osservare la Regola approvata dal Papa. E raccomandò loro di obbedire al p. Bernardino d’Otranto, lì presente, come al loro superiore, fino al Capitolo Generale, che si sarebbe dovuto celebrare nell’anno successivo a Roma. Nominò così il p. Bernardino suo successore finché si fosse provveduto diversamente nel futuro Capitolo Generale, secondo le leggi canoniche.
Proclamandosi il p. Bernardino indegno di tanta carica e dicendo che vi erano altre persone dello stesso Ordine più sapienti di lui, il beato Padre Francesco rispose al p. Bernardino che si prestasse volentieri ad assumere quell’incarico, poiché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti agli occhi di Dio.
Dopo aver recitato i sette salmi penitenziali, le litanie e la Passione del Signore dal Vangelo di s. Giovanni, benedisse i frati, si segnò a sua difesa con il segno della croce e si asperse più volte con l’acqua benedetta. Poi, alzati gli occhi verso il cielo, inviando baci ad un’immagine di Cristo pendente dalla croce ripeteva: «Nelle tue mani raccomando, Signore, il mio spirito», intercalando di tanto in tanto:

«Signore Gesù Cristo, buon pastore delle anime nostre, conserva i giusti, converti i peccatori, abbi pietà delle anime dei defunti e sii propizio a me miserabilissimo peccatore».

Dopo tutte queste cose, all’età di 91 anni, il 2 aprile 1507, nel giorno del Venerdì santo, intorno all’ora in cui il Cristo è morto per noi, con le mani giunte e gli occhi rivolti al cielo, abbracciando con profonda pietà la santa croce, segno di trionfo, e baciandola con venerazione, abbandonato il fardello di questa carne, quasi ancora vivo, senza alcun particolare segno di dolore e di morte, migrò al Signore.

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Il presente racconto della morte di s. Francesco di Paola è desunto da tre distinti documenti: la deposizione di fr. Leonardo Barbier al Processo di Tours (Codex Processus factus in partibus Galliae super vita et miraculis sancti patris Francisci de Paula, t. 38, f. 24r-v, in I Codici autografi dei processi cosentino e turonense per la canonizzazione di s. Francesco di Paola (1512-1513), Roma 1964, p. 364-365; la Bolla di canonizzazione (LEONE X, Excelsus Dominus del 1 maggio 1519); il racconto fatto dal Lanovius (F. LANOVIUS, Chronicon generale ordinis Minimorum, Lutetiae Parisiorum 1635, p. 124). Quest’ultimo dice di avere attinto le notizie sulla morte di Francesco da un manoscritto esistente nel convento di Tours, contenente, appunto, il racconto degli ultimi giorni di vita e della morte del Fondatore dei Minimi.

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